martedì 5 gennaio 2010

Galileo Galilei (dalla “Storia d’Italia”, di san Giovanni Bosco)

Un altro uomo, che formerà mai sempre la gloria d'Italia, fu Galileo Galilei. Nato a Pisa nel 1564, studiò con molto successo la musica, il disegno, la pittura, le scienze, le lettere, e si segnalò particolarmente nella fisica. Era a' suoi tempi grande protettore delle scienze e delle lettere Ferdinando I, gran duca di Toscana. Non avrete certamente dimenticato come i sovrani di Toscana dapprima abbiano semplicemente avuto il titolo di duchi sino all'anno 1570. Fu Pio V, il quale mutò il nome di ducato in quello più magnifico di Granducato. D'allora in poi il sovrano fu sempre detto Granduca. Molto mite, miei cari, fu in generale il governo de' granduchi. Essi favorirono molto le scienze; e se Galileo progredì tanto ne' suoi studi, il dovette in gran parte alla generosità di que' principi. Imperocchè il granduca Ferdinando I lo nominò professore all'università di Pisa, quando toccava appena ventisei anni.

Mentre colà dimorava, standosi un giorno in chiesa, osservò la oscillazione di una lampada sospesa, e notò che essa andava e veniva dondolando e percorrendo un bel tratto, poi un altro più piccolo, quindi uno piccolissimo; ma che quella lampada compiva uno di quei tratti o grandi o piccoli nella stessa durata di tempo. Tornato a casa volle ripetere quella esperienza con una cordicella e con un piombino formato a maniera di pendolo. Il fece dondolare, e verificò che sì le oscillazioni maggiori come le minime si compievano sempre in eguale spazio di tempo. Galileo conchiuse da ciò che un pendolo sarebbe uno strumento da aggiungere agli orologi per regolare il giro delle ruote in modo che non corressero nè più nè meno di quanto è necessario per avere un moto regolare e costante.

Passò pure ad insegnare filosofia a Padova, dove inventò il telescopio, che è un maraviglioso cannocchiale, con cui si vedono gli oggetti mille volte più grossi di quel che si vedrebbero ad occhio nudo. Con questo osservò la luna, pel primo riconobbe che le macchie, le quali si scorgono coi semplici occhi nostri nel disco lunare, non altro sono che valli e montagne, di cui seppe anche misurare l'estensione. Scoprì eziandio molte stelle sino allora sconosciute, e pel primo asserì che quella striscia bianca, la quale si vede in notte serena fasciare il cielo, e che si chiama via lattea, è uno spazio tutto seminato di stelle a noi lontanissime.

La fama dell'ingegno del Galileo crebbe tanto, che il granduca e i Fiorentini desideravano che egli tornasse in patria. Ritornò egli di fatto, e il granduca, gli assegnò cinquemila franchi all'anno con piena libertà di occuparsi ne' suoi profondi studi. Questo grand'uomo era d'indole focosa e proclive alla collera al pari del Tasso, ma sforzavasi di vincerne gl'impeti senza lasciar trascorrere la lingua ad ingiurie. Era religioso e caritatevole assai; perciò istruiva con ammirabile pazienza i giovani volenterosi di studiare, e col suo proprio danaro sovvenne più d'una volta gli scolari poveri, acciocchè potessero continuare i loro studi. Costoro gli erano cosi riconoscenti ed affezionati, che l'obbedivano e l'amavano come padre.

Ma il fatto più luminoso, e che fece parlare molto nella storia di Galileo, fu un suo libro sul movimento della terra. Pretendeva egli, siccome ora generalmente si crede, che non già il sole girasse intorno alla terra, sibbene la terra si volgesse intorno al suo proprio asse ogni spazio di ventiquattro ore, e che intanto in un anno compisse un vasto giro intorno al sole. Questa opinione era già stata manifestata ed insegnata cento anni prima dal canonico Copernico, filosofo prussiano, nè mai se gli era fatto rimprovero, perchè egli insegnava queste cose come ipotesi, ovvero supposizioni sue proprie senza mischiarvi la religione.

Ma Galileo volle andare più avanti, e pretese di provare che il suo sistema era fondato sulla Bibbia; colla quale asserzione veniva a conchiudere essere tale la mente del Creatore nel creare questi astri; onde cangiava in verità di fede una semplice opinione. Il che non mai si potè, nè si potrà asserire. Perciò fu avvisato per ordine del papa Paolo V a non voler fare un domma di fede di cose solamente probabili; ad insegnare liberamente il suo sistema, ma a non lo mischiare colla Bibbia. Questa volta l'indole bizzarra del Galileo non seppe moderarsi. Si persuase che tutti la sbagliassero, e che egli solo vedesse il vero; e giunse fino a dire che la Chiesa doveva difinitivamente approvare il suo sistema. Eravi in quei tempi un tribunale ecclesiastico detto inquisizione, da una parola latina, che vuol dire cercare, perchè aveva per iscopo di cercare ed esaminare quelli, i quali dicevano o scrivevano cose contrarie alla religione. Trovato che si fosse alcuno colpevole, il quale non volesse emendarsi, veniva denunziato alle autorità civili, da cui era giudicato secondo le leggi penali di ciascun regno. Molti sovrani chiesero al Papa di poter aprire nei loro regni uno di questi tribunali, il cui scopo non fu mai di condannare, ma solo di giudicare i fatti e le azioni contrarie alla religione; dopo li consegnava alle autorità secolari, che si giudicavano secondo le leggi civili.

Desideroso che il suo sistema fosse approvato dalla Chiesa, Galileo andò a Roma, e vi riscosse grandi applausi per le nuove sue scoperte. Nel trasporto della gloria egli dimandò che il Papa e l'inquisizione dichiarassero il suo sistema fondato sulla Bibbia. Il giudizio proferito non fu quale Galileo si aspettava; fu conchiuso non potersi con certezza definire che il sistema di Copernico fosse conforme alla Bibbia. Laonde venne imposto a Galileo di non più mischiare le verità certe de' libri santi colle sue private opinioni: lasciato in libertà di fare altrimenti tutte le congetture che egli desiderasse.

Ma gli uomini grandi, miei cari, si lasciano talvolta inebriare dalla superbia, e spesso non sanno umiliarsi e confessare la miseria umana. Tale fu Galileo. Egli rifiutò di assoggettarsi al giudizio dell'inquisizione, e solamente vi si sottomise quando si minacciò di consegnarlo alle autorità civili; ed era già in procinto di dovere subire la pena, se avesse protratto più a lungo la sua emendazione. Ecco come egli parla di questo affare scrivendo ad uno de' suoi discepoli. «Il Papa, egli dice, mi trattò come uomo degno della sua stima: per luogo di arresto io ebbi il delizioso palazzo della Trinità. Quando arrivai al santo uffizio, fui cortesemente accolto dall'assessore. Io fui costretto a ritrattare la mia opinione, e in punizione mi furon proibiti i miei dialoghi, e venni congedato dopo sei mesi di soggiorno in Roma. Siccome la peste serpeggiava in Firenze, mi fu assegnato per dimora il palazzo del migliore mio amico, l'arcivescovo di Siena, ove godetti la più dolce tranquillità.»

Vi ho parlato alquanto a lungo di questo fatto, perchè molti storici, avversi alla cattolica religione, sogliono travisarlo in maniera assai diversa: ma voi ritenete che chi vi dice diversamente da quanto vi ho raccontato non espone la verità [*].

Galileo fece moltissime altre scoperte senza più mischiarsi in cose di religione. Finalmente in età di settant'otto anni cadde ammalato; e sentendosi al termine de' suoi giorni, qual uomo savio e buon cristiano, chiese di ricevere i conforti della cattolica religione; indi spirò nel 1642.

di don Giovanni Bosco



[*] In alcuni libri di storia moderna dettati per la gioventù tra le altre calunnie si spaccia questa, che il Galileo fu torturato per ordine della Inquisizione. Contro sì sfacciata accusa si levarono alcuni dei migliori dotti moderni; qui a noi basta citare: Sul processo di Galileo due lettere di Eugenio Alberi, Firenze, Tip. all'insegna di sant'Antonino, 1864.